[Articolo pubblicato su Cacciare a Palla, agosto 2008]
testo di Ivan Bettina Piazza, foto di Katia Paronitti
New York: la Metropoli per eccellenza, caotica, popolosa, frenetica. Cemento, costruzioni, grattacieli ovunque. E poi auto, taxi, bus, un traffico a cui sembra difficile sopravvivere. Il cuore della città, però, è un cuore verde e dall’aspetto incontaminato. Central Park, con il rigoglio della sua vegetazione, il colore dei fiori, gli specchi d’acqua e le rocce, l’assordante silenzio della natura, rispettato persino dagli umani che vivono, consumano e inquinano tutto intorno. E quale cornice migliore di Central Park per l’American Museum of Natural History (AMNH), uno dei musei di storia naturale più famosi ed importanti al mondo?
Dopo le straordinarie bellezze della città di New York, dedichiamo l’ultimo giorno del nostro viaggio alla visita del museo di Storia Naturale. I musei di questo tipo visti finora non mi hanno mai entusiasmato. Mi hanno sempre dato l’idea di essere luoghi polverosi in cui trovare un’accozzaglia più o meno organica di specie animali e vegetali, spesso talmente distanti da come sono nella realtà da apparire grottesche. Puntualmente verrò smentito dall’esperienza che sto intraprendendo.
L’American Museum of Natural History di New York fu fondato nel 1869 da Albert Smith Bickmore con l’appoggio di alcuni influenti concittadini quali William E. Dodge, Jr. e Theodore Roosevelt, Sr, e fu trasferito nella sede attuale a partire dal 1877. Può vantare l’apporto scientifico di più di 200 studiosi e di più di 40 curatori, che si occupano di ricerca nelle branche delle scienze naturali. La collezione permanente del museo conta più di 30 milioni di specie e manufatti culturali provenienti da ogni angolo del mondo e donati da personaggi conosciuti o raccolti durante le spedizioni sul campo. L’esposizione è strutturata per “hall”, sale tematiche intitolate a grandi pionieri e luminari delle scienze naturali, fra le quali le più famose e forse le più frequentate sono quelle che raccolgono i fossili dei dinosauri. Viste le proporzioni del museo, ci rendiamo immediatamente conto che non basterebbe una settimana per visitarlo tutto, perciò decidiamo di passare velocemente in rassegna qualche sala e soffermarci invece su quelle che più ci interessano. La scelta è ardua, qualsiasi cosa è bella e interessante qui, ma il mio desiderio è quello di vedere da vicino come i curatori e gli artisti che hanno lavorato all’installazione e che la rinnovano continuamente hanno reso i grandi mammiferi della terra e i luoghi in cui vivono.
Cominciamo così un percorso che, attraversando alcune sale, ci porterà nelle hall che ospitano i mammiferi europei, asiatici, africani e nord americani. Già dall’ingresso dobbiamo fare lo slalom tra gruppi di giovani e giovanissimi studenti, intenti ad osservare e ascoltare le spiegazioni degli insegnanti o, addirittura, a svolgere test su quanto stanno vedendo. E’ una piacevole compagnia che ci segue durante tutta la visita e dà il senso di quanto sia sentito l’approccio con la natura, con le scienze e con tutto ciò che riguarda la conoscenza del mondo che ci circonda anche da parte di adolescenti e giovani, cosa che normalmente non riscontro nella realtà in cui vivo. Attraversiamo piuttosto velocemente la sezione dedicata all’evoluzione dell’uomo, fra persone con gli occhi colmi di entusiasmo che si aggirano, come noi, in punta di piedi fra le meraviglie esposte. Poi via via, attraverso le sale dedicate all’antropologia e alla vita negli oceani, ci dirigiamo verso la nostra meta, catturati dall’atmosfera che ci fa perdere in altri mondi, in altri tempi e dimenticare dove in realtà ci troviamo. Descrivere tutto nel dettaglio risulta impossibile. Poco prima di arrivare alla prima delle sale dedicate ai mammiferi, lo sguardo viene catturato dall’enorme sezione di tronco di una sequoia gigante abbattuta nel 1891 quando aveva la bellezza di più di 1300 anni. Scorrere il susseguirsi di date storiche, riportate in corrispondenza degli anelli di crescita annuale, incute un senso di profondo rispetto per questa meraviglia della natura, il cui orizzonte di vita abbraccia generazioni e generazioni umane, immutabile persino di fronte a fatti epocali per il mondo degli uomini, quali lo sbarco di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo.
Infine giungiamo nell’area del museo meta designata del nostro breve percorso. Ciò che appare ai nostri occhi va ben oltre ogni più rosea aspettativa. Le specie di mammiferi raccolti in queste sale sono rappresentate nel loro ambiente naturale, in atteggiamenti tipici e sono contenute in diorami a parete, chiusi da un vetro. La resa degli ambienti è sublime, sia per le pose in cui gli animali sono stati fermati, sia per il paesaggio che li circonda. Una superficie poco estesa, coperta di vegetazione, sassi, terriccio, foglie si raccorda perfettamente con lo sfondo dipinto da artisti abilissimi e in cui lo sguardo si perde come se viaggiasse attraverso un paesaggio senza fine. I puma, ad esempio, stesi su lastre di roccia, nel tipico atteggiamento di riposo felino, osservano un canyon che si apre ai loro piedi e si perde all’orizzonte, fra guglie e salti vertiginosi, nel caldo sole pomeridiano. Gli orici in branco, invece, osservano compatti il visitatore e le loro corna luccicanti nel sole africano sembrano le lance di un piccolo drappello di soldati raccontati nell’Iliade. In altri casi è un intero, piccolo ecosistema ad essere rappresentato, come ad esempio la palude africana, con gruppetti di animali per ogni specie intenti a nutrirsi o a difendersi dai predatori entrati repentinamente in azione.
Il senso del tempo si perde in questo luogo e quando ci rendiamo conto che è giunta l’ora di uscire, ci sembra di essere appena arrivati. Un’ultima occhiata alla meravigliosa colonna di elefanti in marcia nel centro della sala dei mammiferi africani e ci dirigiamo verso l’uscita, consci che fra tutto quello che abbiamo visto in questa città meravigliosa, il ricordo del AMNH sarà uno dei più cari e certamente una visita che consigliamo caldamente a tutti coloro che approderanno alla Grande Mela.